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Cloud disaster recovery (DR): cos’è, tipologie e vantaggi

Il disaster recovery in cloud è un tema più che mai attuale. Infatti, sempre più spesso si sente parlare di problemi sorti a fronte di un attacco informatico (ne è sferrato uno ogni 39 secondi1), un disastro naturale (nel 2020 sono stati 4162 a livello globale), un guasto hardware (nell’80,9% dei casi3 si tratta di un hard disk), un errore umano o di un software che hanno portato alla perdita definitiva dei dati. Il motivo è che non era stato attivato un efficace backup, quindi non è stato possibile ripristinare la situazione precedente al danno tramite attività di recovery.

La conseguenza è la perdita dell’accesso a sistemi critici e di dati importanti. Questo ha un impatto sulla produttività e provoca un ritardo nelle risposte a clienti e fornitori, con un effetto negativo su business e clienti. Per non parlare del danno di immagine che si ha e che può rovinare la reputazione dell’azienda.

Cos’è il disaster recovery in cloud

Oggi più che mai, l’IT è una componente fondamentale della resilienza e della continuità aziendale, ed è indispensabile che siano sviluppati e implementati piani di disaster recovery per proteggere le operazioni aziendali da tempi di inattività e perdite di dati. Ricordiamo che il downtime dell’IT, secondo uno studio di Gartner4, può costare a un’azienda da 140.000 dollari a 300.000 dollari all’ora.

Uno dei piani più efficaci è il disaster recovery in cloud. Si tratta di una combinazione di strategie e servizi destinati a eseguire il backup di dati, applicazioni e altre risorse su un cloud pubblico, o di un provider di servizi dedicati. Quando si verifica un disastro, i dati, le applicazioni e le altre risorse interessate possono essere ripristinati nel data center locale o nel cloud del provider e riprendere il normale funzionamento. L’obiettivo del disaster recovery in cloud è praticamente identico a quello del disaster recovery “tradizionale”: proteggere le risorse aziendali e garantire che tali risorse siano accessibili e ripristinabili per continuare le normali operazioni aziendali.


A ciascuno il suo disaster recovery

Attraverso il disaster recovery in cloud le aziende ricevono un accesso continuo a servizi di disaster recovery off-site altamente automatizzati, scalabili e autonomi, senza la spesa di un secondo data center e senza la necessità di selezionare, installare e mantenere strumenti specifici.

Il disaster recovery in cloud prevede essenzialmente tre approcci: cold, warm e hot.

Cold disaster ricovery: implica in genere l’archiviazione di dati o immagini di macchine virtuali. Queste risorse non sono utilizzabili senza processi aggiuntivi come il download dei dati archiviati o il caricamento dell’immagine in un’ulteriore macchina virtuale. Il disaster recovery cold è l’approccio più semplice (spesso solo storage) e meno costoso, ma richiede più tempo per il processo di ripristino e può quindi lasciare l’azienda inattiva per lunghi periodi in caso di emergenza.

Warm disaster recovery: prevede che dati e applicazioni siano duplicati presso un provider di disaster recovery in cloud e aggiornati con i dati e le applicazioni nel data center principale. Le risorse duplicate non eseguono, però, una copia speculare di tutte le elaborazioni. Quando si verifica un’emergenza, il warm recovery può essere portato online dal provider per riprendere le operazioni. Il ripristino può essere piuttosto breve, ma impone comunque tempi di inattività per i processi protetti.

Hot disaster recovery: è una distribuzione parallela live di dati e processi. In altre parole, sia il data center primario sia il sito di disaster recovery utilizzano lo stesso processo in esecuzione sincrona: entrambi i siti condividono parte del traffico complessivo dell’applicazione. Quando un disastro colpisce un sito, il sito rimanente continua senza interruzioni a gestire il lavoro. Gli utenti non si accorgono di come sono svolte le attività. L’hot disaster recovery non presenta tempi di inattività, ma può essere un approccio costoso e complicato.

È possibile combinare più approcci, consentendo, per esempio, ai processi con priorità più alta di utilizzare un approccio hot, mentre i processi o set di dati con priorità inferiore potrebbero utilizzare un approccio warm o addirittura cold.


I vantaggi del disaster recovery in cloud

Il disaster recovery in cloud offre importanti vantaggi rispetto alle strategie tradizionali, a partire dalle opzioni a consumo. Uno dei principali benefici dei servizi cloud è il paradigma pay-as-you-go, che consente alle organizzazioni di pagare un canone mensile ricorrente solo per le risorse e i servizi utilizzati. Man mano che le risorse sono aggiunte o rimosse, i pagamenti cambiano di conseguenza.

In un disaster recovery tradizionale l’azienda deve acquistare i server, lo storage, le apparecchiature di rete e i software necessari per la realizzazione. Questo rappresenta in genere un investimento importante e una spesa ricorrente per mantenere il sistema efficiente. Le opzioni del disaster recovery in cloud, come i servizi cloud pubblici e i provider di disaster recovery as a service (DRaaS), possono fornire enormi quantità di risorse on demand, consentendo alle aziende di disporre di tutto ciò di cui necessitano tramite un portale self-service.

Un provider cloud può infine garantire la disponibilità di più data center sia per supportare le attività nelle principali regioni geopolitiche globali sia per migliorare l’affidabilità del servizio e garantire la ridondanza. Le aziende possono sfruttare la ridondanza geografica per collocare le risorse di disaster recovery in una regione differente o anche in più regioni nel caso vogliano massimizzare il livello di disponibilità.

I cloud provider sono in grado di fornire anche requisiti di sicurezza molto elevati che aiutano il cliente ad aumentare il proprio livello di protezione dei dati.

1 Fonte: TechJury
2 Fonte: Statista
3 Fonte: StorageCraft
4 Fonte: Gartner


Scritto da 
Michele Onorato  – Chief Information Security Officer & BU Manager icons8-colore-50

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